La voce dei ragazzi di Youth of Sumud – At-twani e Sarura, South Hebron Hills

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di Chiara Garavelli

Il villaggio di At-twani sorge sulle soleggiate colline a sud di Hebron, una delle più grandi città della Palestina. Hebron, in arabo Al-Khalīl, significa amico e deve il suo nome ad Abramo, il cui sepolcro è presente insieme a quelli di Isacco e Giacobbe all’interno della famosa Tomba dei Patriarchi, luogo sacro per tutte e tre le religioni abramitiche: Ebraismo, Islam e Cristianesimo. Ci troviamo nella parte meridionale della West Bank, all’interno della cosiddetta Area C, posta sotto il controllo civile e militare israeliano. At-twani è uno dei pochi villaggi della zona che ancora sopravvive all’espansione coloniale israeliana. Altra sorte è invece toccata alla vicina Sarura, così come ad altri villaggi dell’area. La vita degli abitanti della zona si basava un tempo su un’economia di sostentamento, fondata principalmente sull’allevamento del bestiame e sulla coltivazione di alberi di ulivo. Negli anni ‘90 però si insediarono nella zona gli avamposti israeliani di Havat Ma’on e Avigayil e successivamente gli abitanti di Sarura si videro costretti ad abbandonare il loro villaggio a seguito degli attacchi continui da parte dei coloni e delle minacce dei soldati israeliani, i quali con la scusa di evitare degli scontri avevano iniziato ad interdire alla popolazione palestinese l’uso delle terre circostanti il loro villaggio. At-twani invece resistette ai tentativi di sgombero tramite la costituzione di un comitato di lotta popolare, evitando l’evacuazione e continuando a reclamare il diritto a restare sulla propria terra, tramite azioni dimostrative pacifiche di obiezione alle imposizioni da parte del governo israeliano. Negli anni la campagna di resilienza degli abitanti di At-twani è stata sostenuta da diverse associazioni internazionali, come ad esempio Operazione Colomba, e da giovani israeliani contrari alla teoria espansionista, quali gli attivisti di Taayush. Queste varie forme di presidio hanno avuto la forza di garantire ad At-twani che la sua storia non venisse dimenticata. I soprusi sono stati quasi sempre documentati riuscendo così spesso a fornire materiale audiovisivo utile alla difesa durante i processi a carico degli attivisti palestinesi. È infatti frequente che i diverbi seguiti alle provocazioni da parte dei coloni si concludano con il fermo di alcuni della comunità palestinese.

Nel villaggio di At-twani qualche anno fa ho incontrato alcuni dei ragazzi di Youth of Sumud (YOS, ovvero i Giovani della Perseveranza), l’associazione locale nonviolenta composta da ragazzi e ragazze nati e cresciuti sotto l’occupazione. Oggigiorno, per il mondo la questione palestinese sembra ormai una cosa passata, il capitolo superato di un vecchio libro di storia, il passatempo di chi non ha di meglio che pensare alla sofferenza dell’Altro da Sé sparso per il mondo. Per quasi tutti – coloro che non vivono in territorio palestinese - è una causa persa alla quale rassegnarsi. Ma non per i ragazzi che animano la resistenza nonviolenta del popolo palestinese. In questi ultimi tempi ci siamo resi tutti conto di quanto sia facile inneggiare alla pace dalla poltrona di casa propria, o da una piazza piena di giovani che mai hanno messo piede fuori dal mondo occidentale. Diverso è riuscire a farne il proprio stile di vita con un mitra puntato alla testa e con la consapevolezza che perfino il più tragico gesto potrebbe restare impunito. Quante altre guance dovranno essere porte, quante nottate in galera ancora dovranno passare per vedere una Palestina libera? Ben consapevoli che andarsene e ricostruirsi una nuova vita altrove sarebbe stata la scelta più semplice i ragazzi di YOS hanno invece scelto di restare e di armarsi della tecnologia e dell’istruzione come uniche armi contro l’oppressione. Lo spiega bene Ali: “Io documento tutto con la mia telecamera. Tutto quello che succede. Usiamo Facebook per chiamare all’azione e per mostrare al mondo le azioni vergognose di queste persone.” Una storia documentata e condivisa diventa una storia che può anche essere ignorata ma non potrà mai venire negata. È stata ormai incisa in maniera indelebile.

Una delle principali azioni nonviolente dei ragazzi di YOS è stata quella di riprendere possesso delle grotte nella zona di Sarura, abbandonate appunto anni addietro dalle loro famiglie, per non lasciare terreno disabitato e quindi facilmente occupabile dai coloni. Dopo i lavori necessari a rendere nuovamente abitabili le grotte, sono stati ripiantati alberi di ulivi sui terrazzamenti nella vallata sottostante. Oltre a questo, i ragazzi più grandi, insieme agli attivisti internazionali, si occupano di scortare i bambini dei villaggi della zona fino a scuola, poiché l’unica strada percorribile costeggia Havat Ma’on dalla quale spesso i coloni lanciano pietre in direzione dei bambini palestinesi.

Il villaggio di At-twani e i ragazzi di YOS sono ora protagonisti del documentario "Sarura. The future is an unknown place”, prodotto dalla bolognese indipendente SMK Factory, con la regia di Nicola Zambelli che sta ora attraversando i cinema di tutta la penisola (dal quale sono ripresi i virgolettati presenti nell’articolo). Sarura rompe in maniera drastica la barriera tra lo schermo e lo spettatore, che si trova a chiedersi se la finzione non sia forse la parte recitata dal mondo che continua costantemente a voltarsi dall’altra parte, a non voler incrociare gli occhi degli ultimi tra gli ultimi, a voler rendere nomarle l’ingiustificabile. Vi invitiamo a visitare il sito del film per non mancare alle prossime proiezioni nella vostra città, affinché ciascuno di noi possa con un piccolo gesto contribuire a spargere il più lontano possibile la voce dei ragazzi di At-twani.

“Anche se non sappiamo cosa ci porterà il domani, poiché il futuro è un luogo sconosciuto, vogliamo essere noi a tracciare la strada per raggiungerlo.”