Riforma costituzionale: un’altra occasione persa?
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di Giovanni Spaziante e Mario Visconti
Il 15 novembre il Governo ha presentato al Senato il disegno di legge costituzionale che, oltre ad abolire la nomina dei senatori a vita, introduce l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. In particolare, nel sistema prospettato dalla riforma, i cittadini sono chiamati a scegliere anche il vertice dell’esecutivo, contestualmente all’elezione delle Camere. Il candidato che risulta eletto riceve quindi l’incarico di formare il Governo dal Presidente della Repubblica, il quale nomina su sua proposta i ministri. Il Governo così composto dovrà ottenere la fiducia del Parlamento, il cui sostegno dovrebbe essere garantito da un sistema elettorale maggioritario che attribuisce alla coalizione vincente il 55% dei seggi. Se il governo non ottiene la fiducia, il Capo dello Stato può conferire un nuovo incarico al Presidente eletto; in caso di seconda bocciatura, scioglie le Camere. Diversamente, in caso di cessazione anticipata del mandato governativo (dimissioni del premier o altri impedimenti), il Presidente della Repubblica potrà conferire un nuovo incarico soltanto allo stesso Presidente dimissionario oppure a un altro parlamentare della maggioranza che prosegua l'attività di governo del Presidente eletto (c.d. Presidente subentrante).
L’obiettivo perseguito dalla riforma, cioè ridurre l’instabilità politica dei governi (e la conseguente mancanza di politiche di medio e lungo periodo) e stimolare un riavvicinamento fra i cittadini e le istituzioni, è sicuramente condivisibile. Dall’entrata in vigore della Costituzione, nel 1948, si sono susseguiti 31 Presidenti del Consiglio alla guida di 68 governi, con una durata media di 414 giorni. Nello stesso periodo la Germania ha avuto 25 governi e appena 9 cancellieri. Nessuno dei sistemi elettorali applicati nel tempo (maggioritari, proporzionali e misti) si è rivelato pienamente efficace; dunque, una riforma costituzionale che garantisca maggiore stabilità all’esecutivo sembra necessaria. Ciononostante, la proposta del Governo suscita vari interrogativi.
Anzitutto, il criterio elettorale. L’introduzione in Costituzione di un principio generale che vincoli il legislatore ad adottare un sistema elettorale di tipo maggioritario risulta coerente con lo scopo perseguito: il modello di elezione diretta del premier introdotta in Israele nel 1996 ha fallito soprattutto per il fatto di essere stato innestato su un sistema elettorale proporzionale, portando maggiore instabilità e determinando il ritorno a un modello parlamentare nel 2001. Tuttavia, per garantire necessariamente il 55% dei seggi in Parlamento, la legge elettorale dovrebbe prevedere un premio di maggioranza svincolato da qualsiasi soglia percentuale minima: la lista o coalizione vincente potrebbe quindi conseguire la maggioranza assoluta dei seggi anche ottenendo solo il 25 o 30% dei voti. In questo modo si rischierebbe però di contraddire le prescrizioni della Corte Costituzionale che, con varie sentenze¹, ha ricordato che il principio di uguaglianza del voto (principio supremo e limite alla revisione costituzionale²) impone la previsione di una soglia minima di voti o di seggi cui condizionare l’attribuzione del premio.
In secondo luogo, non è chiaro perché un Presidente eletto direttamente dai cittadini debba anche ottenere la fiducia del Parlamento, organo espressivo dello stesso popolo che ha già scelto il Presidente. Normalmente, il rapporto fiduciario si instaura alternativamente con il popolo o con le Camere (altrimenti con quale legittimazione il Parlamento respinge la fiducia a un Presidente scelto direttamente dai cittadini?). Nei sistemi a elezione diretta, infatti, la fiducia del Parlamento è presunta e ad un’eventuale mozione di sfiducia conseguirebbe un “autoscioglimento” delle Camere e il ritorno al voto, così come alle dimissioni del premier corrisponderebbe uno scioglimento del Parlamento (principio del simul stabunt simul cadent). Inoltre, appare superfluo che il Presidente, dopo essere stato eletto direttamente dal popolo, debba anche ricevere l’incarico di formare il Governo dal Presidente della Repubblica (è eletto dal popolo, espresso dal Parlamento o nominato dal Presidente della Repubblica?).
Desta perplessità anche la figura del Presidente subentrante che, pur non essendo diretta espressione della volontà popolare, avrebbe paradossalmente più potere del Presidente eletto: come osservato da Giovanni Maria Flick³, presidente emerito della Corte costituzionale, egli non potrebbe essere ulteriormente sostituito e alle sue dimissioni seguirebbe necessariamente lo scioglimento anticipato del Parlamento.
Infine, rafforzare il solo Governo e non anche i suoi principali contropoteri, cioè il Parlamento e il Presidente della Repubblica, rischia di alterare l’equilibrio istituzionale esistente fra i tre organi. Da un lato, il Parlamento, già esautorato dall’eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza e alla questione di fiducia, rischia di essere ancora più schiacciato dall’attività di governo. Dall’altro si può dire che il nuovo sistema, pur senza toccare formalmente i poteri del Capo dello Stato, ne altera le funzioni, vincolando il potere di nomina del Presidente del Consiglio e condizionando fortemente il potere di scioglimento delle Camere.
L’esperienza ha dimostrato che le riforme costituzionali hanno successo e reggono nel tempo quando sono frutto di scelte condivise. Il percorso parlamentare è appena iniziato ma è auspicabile che il testo venga migliorato tenendo conto, da un lato, dei suggerimenti proposti da molti costituzionalisti e, dall’altro, delle proposte delle opposizioni. Ad esempio, la sfiducia costruttiva potrebbe essere un elemento di razionalizzazione del sistema parlamentare che, come avvenuto in Germania, potrebbe garantire una forte stabilità ai governi senza prevedere un’elezione diretta. Oppure, restando nel solco del disegno di legge presentato, eliminare la figura del Presidente subentrante e configurare un sistema basato sul simul stabunt simul cadent (come nel DDL Renzi sul “Sindaco d’Italia”). Si spera che prevalga il senso di responsabilità delle forze politiche per trovare la soluzione migliore per il Paese.
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