Relazioni industriali e rappresentanza: come garantire una vita libera e dignitosa?
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di Lorenzo Bernardini
A livello mondiale c’è uno stretto legame tra gli avvenimenti sociali, politici, naturali e gli avvenimenti economici. La pandemia prima, le guerre poi e il (troppo poco considerato per quanto influente) cambiamento climatico causano effetti economici, tanto semplici da comprendere quanto gravi nei loro effetti. La scarsità di materie prime e le difficoltà nei trasporti delle merci, legate agli avvenimenti di cui sopra, provocano un aumento dei costi produttivi, con i relativi effetti negativi per le aziende e il calo del potere di acquisto dei salari. L’origine del problema è di facile comprensione, gli effetti di queste criticità sono sotto gli occhi (e nei portafogli) di tutti. Trovare le soluzioni è estremamente complicato.
In tutto questo la coperta è corta. La ricchezza mondiale è in calo. Stiamo sprecando come umanità tantissime risorse, per finanziare la guerra e per sostenerne le esternalità negative. Questa coperta corta non è altro che la storia ben nota della lotta di classe tra capitale e lavoro. Il conflitto capitale-lavoro nel mondo attuale prende il nome di relazione industriale.
Nell’analisi dell’attuale situazione industriale e di rappresentanza dobbiamo partire da un assioma: la legge e i contratti collettivi non possono creare ricchezza, la possono solo ridistribuire. Senza aprire un tema di carattere fiscale sulla necessità di una effettiva progressività fiscale e senza citare il famoso 1% più ricco, entriamo direttamente nel tema di nicchia del contratto collettivo, ossia di quelle norme concordate da sindacati e associazioni di categoria necessarie per dettagliare i diritti e i doveri del mondo del lavoro.
L’articolo 39 della Costituzione Italiana non è mai stato applicato dal Parlamento, pertanto la libertà sindacale è la libertà più ampia della nostra Repubblica. Per quanto ideologicamente questo possa apparire molto bello, concretamente porta a criticità e storture inimmaginabili. Oggi in Italia i contratti collettivi sono più di mille. In questa moltitudine di norme si nascondono i cosiddetti contratti gialli (o pirata) siglati da sindacati di comodo. Spesso le parti sociali non si incontrano per rinnovare i contratti collettivi e, oggi, vengono applicati contratti che sono scaduti da più di cinque anni e facilmente si arriva a otto (si consideri che un contratto normalmente ha validità triennale). In aggiunta vi è la contrattazione di prossimità, ossia i contratti collettivi aziendali, provinciali e regionali che integrano i contratti nazionali. Dei contratti collettivi di prossimità spesso è difficilissimo conoscerne l’esistenza e trovarne il testo, si pensi che molti di questi non sono nemmeno pubblicati su internet. Per conoscere i contenuti di un singolo contratto collettivo mediamente si devono affrontare 25 diversi documenti, per una media complessiva di 245 pagine. Gli effetti sulla complicazione nella definizione della retribuzione (e quindi degli elementi che la compongono) sono immaginabili.
Gli elementi che costituiscono la retribuzione sono per il 28,6% definiti dalla legge ed il 71,4% dal contratto collettivo (si pensi alle indennità, maggiorazioni, elementi locali, premi). In media ogni contratto collettivo prevede 12 diverse voci retributive, di queste la paga base costituisce circa il 7,5% degli elementi previsti dai contratti collettivi (considerate anche le maggiorazioni festive, straordinarie, notturne,…).
Tutti questi numeri solo per spiegare la complicazione del sistema retributivo. La punta dell’iceberg è la busta paga, il documento che il datore di lavoro ha l’obbligo di produrre e consegnare al lavoratore per illustrare il calcolo dello stipendio del mese. La busta paga è lo specchio del contratto collettivo e delle norme sulla retribuzione. Il panorama retributivo, contributivo e fiscale è estremamente approfondito, complicato e costituito da enormità di casistiche particolari.
La politica può affrontare questa difficoltà solamente con una seria norma sulle relazioni industriali e sulla rappresentanza in applicazione dell’articolo 39 della Costituzione.