Reagire. Gli italiani del 2023 secondo il Censis
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di Giorgio Romano
A inizio dicembre, come ogni anno da 57 anni a questa parte, il Censis ha presentato il suo rapporto sulla società italiana. Come ogni anno da 57 anni a questa parte: lo leggeremo, ci arrabbieremo e non faremo nulla. È più o meno questa, infatti, la fotografia degli italiani che emerge dal rapporto, dei veri e propri “sonnambuli” come li ha definiti lo stesso Censis. Né epicurei né, tantomeno, stoici gli italiani sanno molto bene quello che sta accadendo e quello che potrebbe accadere, sono molto preoccupati, spaventati addirittura, ma ciò non basta a svegliarli. Riprendendo ancora il Censis, se tutto è emergenza, allora nulla lo è davvero. Non ci vuole molto a capire che è così, in questi anni siamo oppressi contemporaneamente da una serie sterminata (e sterminante) di crisi: climatica, pandemica, demografica, economica, migratoria, geopolitica. E la lista potrebbe continuare. Al di là degli inutili negazionismi, le persone ne sono consapevoli, sanno che quello a cui andiamo incontro è un mondo nettamente peggiore rispetto a quello che lasciamo alle nostre spalle, ma ciò non basta a generare una reazione. O meglio, ogni generazione ha una sua reazione a questa serie opprimente di emergenze. Se da un lato gli over 50 (quelli che comandano) sono portati ad applicare, troppo spesso, schemi vecchi per problemi nuovi o, ancora peggio, a rifugiarsi in una inutile nostalgia. Dall’altro i giovani e i giovanissimi (quelli che dovrebbero protestare), secondo il Censis, sono sempre più convinti dell’irrimediabile declino del nostro Paese. L’unica reazione, a parte la rassegnazione, sono nuove forme di ansia che, per quanto importantissime dal punto di vista sociosanitario, sicuramente non sono uno strumento in grado di condurre al cambiamento sperato.
Proviamo quindi a guardare, rapidamente, ad una parte degli argomenti e processi che “sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese”. Il primo riguarda sicuramente l’economia e il mondo del lavoro, i principali specchi della società. Dal rapporto del Censis emergono due elementi molto interessanti in campo economico, il primo è che secondo il 69% degli italiani il nostro Paese è stato danneggiato dalla globalizzazione. Attenzione, ciò non vuol dire che quasi il 70% degli italiani, oggi, scenderebbe in piazza a Genova nel 2001. Ma è comunque un elemento che, al di là di tutte le conseguenze e implicazioni politiche, ci dice che c’è insofferenza verso il sistema economico attuale, nonostante per molti sia l’unico possibile. Il secondo elemento economico riguarda la consapevolezza dell’imminente crollo del sistema di welfare: sempre il 69% degli italiani crede infatti che, nei prossimi anni, non ci saranno abbastanza lavoratori per pagare le pensioni e che non tutti potranno curarsi a causa della scarsa tenuta della sanità pubblica. Insomma, completa sfiducia sia nel presente che nel futuro. Ma ancora di più, la consapevolezza ormai largamente maggioritaria che il sistema economico sul quale si regge il nostro Paese non solo non porta alcun beneficio, ma è anche destinato al collasso.
Per quanto riguarda invece il mondo del lavoro, al cambiamento economico si aggiunge un interessante cambiamento sociale. In breve tempo l’Italia è infatti passata dall’allarme sulla disoccupazione al record di occupati che, dopo la fase espansiva iniziata nel 2021, sono quasi 23,5 milioni. L’Italia resta comunque all’ultimo posto in Unione Europea per tasso di occupazione, distaccata di quasi 10 punti dalla media europea. A questo, si aggiunge la riduzione del numero di ore lavorate e, soprattutto, un importante cambiamento nella gerarchia delle priorità: secondo l’87% degli occupati il lavoro non deve essere centrale nella vita di un individuo. Si tratta di un sovvertimento non di poco conto. Non solo per il valore che i nostri genitori e i nostri nonni hanno sempre dato al lavoro, ma anche per l’importanza storica, sociale, economica e filosofica che ha svolto. Pensate a concetti come la lotta di classe, che definisce intrinsecamente un individuo in base al lavoro che svolge. Il lavoro è un punto cardine della vita della nostra società, il nostro stesso sistema economico è basato sul presupposto che ci siano persone disposte a lavorare per la maggior parte del loro tempo e ad un prezzo inferiore rispetto al valore di quel lavoro. Si tratta di una rivoluzione, intesa come cambiamento radicale delle abitudini, alla quale probabilmente non saremo mai pronti.
Un altro elemento, strettamente collegato con la sfiducia nella tenuta del sistema pensionistico, è la drastica riduzione del numero di giovani. Negli ultimi vent’anni, la percentuale di italiani nella fascia d’età che va dai 18 ai 34 anni è diminuita di 5,5 punti, passando dal 23% al 17,5% della popolazione. In valore assoluto, che forse è in grado di dare un peso maggiore, parliamo di 3 milioni di persone in meno. Ciò ha due risvolti particolarmente interessanti. Il primo ha a che fare con il conseguente calo, negli ultimi decenni, del peso elettorale e politico dei più giovani, il 57% degli italiani riconosce che i giovani sono la generazione più penalizzata di tutte. Questa “incomunicabilità generazionale”, probabilmente, può essere alleviata solo tramite un pesante trasferimento di potere ai giovani, una scelta per la quale solo la politica può avere la lungimiranza necessaria. Il secondo risvolto è la solitudine. Il nostro è un Paese di persone sole, un tema che riguarda tutte le generazioni: gli adulti di oggi che, non avendo figli, sono destinati ad invecchiare da soli ma anche i giovani. Basti pensare che un terzo delle famiglie italiane è composta da una sola persona. Nel 2022, per la prima volta nella storia, i single (33,2%) hanno superato le coppie con figli (31,2%). Chi vive da solo non è necessariamente solo anche nella vita, ma è importante rilevare che, dopo il lavoro, stiamo mettendo in discussione un altro elemento fondante della nostra società: la famiglia. Ancora una volta fuori da ogni retorica, la famiglia rappresenta probabilmente il nucleo fondamentale attorno al quale orbita non solo la socialità degli italiani, ma anche la loro stessa economia.
Chiudiamo con un dato positivo, il Censis ha parlato delle nuove “rivendicazioni dei diritti civili”. I dati sono alquanto inequivocabili: il 74% degli italiani è a favore dell’eutanasia, il 66% è favorevole al matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso, il 72,5% è favorevole allo ius soli, il 77% è favorevole allo ius culturae. Si rileva qui una distanza abissale tra la politica e la società. Lo avevano già dimostrato le raccolte firme per i referendum nel 2021, bocciati dalla Corte Costituzionale nel 2022. Anche in questo caso però, la colpa ricade sugli italiani. Nonostante la maturità dimostrata e soprattutto la sensibilità a nuove passioni e lotte, questi temi non sono in grado di riempire le piazze né, tantomeno, le urne. In perfetta coerenza con la situazione delineata finora, anche su questo punto gli italiani si confermano “sonnambuli”: coscienti dell’importanza del tema, non se ne occupano a pieno.
È difficile concludere. Il Censis ci consegna un rapporto crudo e tremendamente realista, uno schiaffo in faccia ad ognuno di noi. Uno schiaffo che però, ancora una volta, difficilmente ci sveglierà dal sonnambulismo. Ci troviamo davanti a sfide epocali delle quali sembriamo aver preso consapevolezza, all’interpretazione deve però necessariamente seguire l’azione. È su questo punto che probabilmente ruota la storia d’Italia. In effetti, nel nostro Paese non c’è mai stata una rivoluzione intesa come movimento popolare che ha introdotto un cambiamento politico e sociale estremamente diverso dai precedenti. Il risorgimento e la resistenza, per ragioni diverse, non lo sono. Questo ci consegna e condanna a due elementi: da un lato l’estrema riluttanza degli italiani ad un cambiamento reale, in Italia tutto cambia solo quando si è sicuri che tutto rimanga com’era. E dall’altro, la conseguente frustrazione di un popolo che, non potendo (o sapendo) come farsi valere, è automaticamente portato alla critica permanente e fine a sé stessa. Come ha scritto L’Espresso, commentando il rapporto Censis, “Non siamo mai stati tanto informati e consapevoli della nostra situazione. Mille piccoli gesti ci fanno ribollire di rabbia ma non bastano a far scattare in noi la possibilità di cambiare. Siamo informati, laureati, all'apice del progresso tecnico e scientifico ma così poco avvezzi a disturbare, a dire no grazie”. Non siamo nelle sabbie mobili, muoverci non peggiorerà la nostra condizione.