La situazione dei migranti al confine tra Messico e Stati Uniti e le nuove politiche di Joe Biden
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di Giusy Ciccarelli
“Puoi andare a vivere in Francia, ma non puoi diventare un francese. Puoi andare a vivere in Germania o in Turchia o in Giappone, ma non puoi diventare un tedesco, un turco o un giapponese. Ma chiunque, da ogni angolo della Terra, può venire a vivere in America e diventare un americano [...] Noi guidiamo il mondo perché – e siamo gli unici a farlo – attiriamo qui il nostro popolo, la nostra forza, da ogni paese ed angolo del mondo. Così facendo, arricchiamo e rinnoviamo continuamente la nostra nazione. Mentre le altre nazioni si aggrappano a un passato stantio, in America diamo vita ai sogni. Creiamo il futuro, e il mondo ci segue nel domani. Grazie a ogni ondata di nuovi arrivi in questa terra di opportunità, siamo una nazione perennemente giovane, perennemente prospera di idee e di energie, sempre all'avanguardia, sempre alla guida del mondo verso nuove frontiere. Se mai dovessimo chiudere le nostre porte ai nuovi americani, la nostra leadership globale sarebbe rapidamente perduta.” Ronald Reagan, 1989
È con questo famoso discorso che il Presidente repubblicano Ronald Reagan decise di congedarsi dalla nazione il 19 gennaio 1989. Il leader, che più di ogni altro aveva segnato la storia del conservatorismo nella seconda metà del XX secolo, volle dedicare un passaggio fondamentale del suo ultimo discorso come presidente agli immigrati e a che cosa essi significassero per gli Stati Uniti d’America. È pertanto facile restare stupiti e impressionati da ciò che è diventato oggi il Partito Repubblicano e quali siano ormai le sue idee riguardo all’immigrazione. Ma è bene ricordare che per decenni, nonostante le disparità e l’odio razziale, nessun politico si sarebbe mai permesso di spezzare questa grande corda sociale che rendeva il suolo statunitense ricco e prospero, come ha fatto Donald Trump negli ultimi quattro anni. Ma andiamo per gradi.
Ci sono tre modi per poter entrare sul suolo statunitense: il primo è trovare un datore di lavoro negli Stati Uniti, il secondo è chiedere asilo politico e il terzo è il ricongiungimento familiare. Per raggiungere il sogno americano degli States degli anni Novanta molte persone entrarono illegalmente nel territorio oppure, dopo la scadenza dei visti, semplicemente prolungarono, di fatto illegalmente, il loro soggiorno in America. Negli anni, milioni di queste persone hanno studiato, lavorato, creato famiglie e messo al mondo figli che sono in tutto e per tutto americani. Con nuove politiche più stringenti, in seguito promosse dall’amministrazione Clinton, nacquero anche dei movimenti in supporto alle famiglie degli immigrati illegali residenti ormai da anni negli USA: ne sono un lampante esempio i cosiddetti “Dreamers”. Tutto questo, principalmente, era in gran parte favorito dai poteri limitati della polizia di frontiera, la quale era l’unica ad avere il compito di vigilare sullo status degli immigrati. Ma arrivò l’11 settembre 2001 e il mondo crollò inerme assieme alle Torri Gemelle, assestando un duro colpo alla famosa “Terra delle opportunità” di cui tanto parlava Reagan. Norme più rigide e stringenti furono attuate dopo poche settimane dall’attentato di New York; al tempo stesso, miliardi di dollari furono spesi in armamenti, controlli e formazione di corpi antiterrorismo e fu introdotta una legge, il cosiddetto “Patriot Act”, che dava la possibilità, anche alla polizia stradale, di controllare lo status delle persone che fermava, incrementandone quindi enormemente i poteri.
Le politiche migratorie di The Donald. Se Donald Trump nei quattro anni di mandato ha fatto di tutto per completare e rinforzare la barriera di separazione al confine con il Messico, sin dall’inizio della sua presidenza Joe Biden sta cercando, al contrario, di sfondare il famoso “El bordo”. Il Tycoon, non appena insediatosi alla Casa Bianca nel gennaio 2017, emanò due ordini esecutivi definiti da lui stesso “Muslim Ban”, grazie ai quali negò l’ingresso negli Stati Uniti a cittadini e cittadine di alcuni paesi – Somalia, Sudan, Iran, Iraq, Yemen, Libia, Nigeria, Tanzania, Myanmar e Kyrgyzstan – con un alto tasso di popolazione di religione musulmana. Tra questi Paesi non rientravano però ad esempio, Arabia Saudita, Pakistan, Egitto o Indonesia, considerati infatti degli alleati chiave degli Stati Uniti.
L’approccio della tolleranza zero comportò un nuovo modello di gestione delle politiche migratorie che ebbe come punto focale quello di separare le famiglie, dividendo gli adulti dai bambini, considerato dalla propaganda trumpiana un metodo efficace per scoraggiare l’immigrazione clandestina. Inoltre, la nuova politica migratoria non prevedeva più il classico giudizio davanti al giudice competente in materia di immigrazione, ma l’incriminazione dinnanzi ad un giudice federale per ingresso illegale nel territorio americano. Questo ha portato le persone coinvolte a finire in carcere in attesa del processo e ad essere al tempo stesso separate dai minori che viaggiavano con loro, in quanto per legge essi non potevano essere detenuti in cella assieme ai loro genitori.
A questo punto sorge spontaneo chiedersi come reagì il cuore pulsante della “Terra della Libertà” di fronte a questi metodi brutali adottati dall’amministrazione Trump. Principalmente, in due modi distinti e sicuramente molto polarizzanti, sinonimo di una sempre più marcata radicalizzazione della politica americana. Tra alcuni americani, residenti in prevalenza nelle zone rurali del Midwest e del Sud, si è instaurato un sempre più forte odio verso gli immigrati, fomentato soprattutto dalle parole di Trump, che hanno negli anni emancipato un clima di conflitto e lacerazione sociale. Dall’altro lato, molti americani, soprattutto sulle due coste, hanno reagito con prese di posizione forti, condannando le politiche dell’allora presidente. In particolare, i sindaci democratici delle principali metropoli del Paese diedero vita nel quadriennio trumpiano ai cosiddetti “santuari”. Molti sindaci, infatti, agendo spesso al limite della loro autorità (e anzi il più delle volte eccedendo), resero di fatto inapplicabili nelle loro città le politiche migratorie federali.
Le politiche d’immigrazione di Joe Biden. Con l’ingresso di Joe Biden alla Casa Bianca, si è immediatamente percepito un chiaro cambio di passo sul tema immigrazione. Il 20 gennaio 2021, giorno del suo insediamento, il nuovo Presidente firmò 17 ordini esecutivi, tra i quali alcuni molto importanti riguardanti il tema scottante dell’immigrazione. Il neopresidente inviò altresì al Congresso un progetto di legge per la riforma dell’immigrazione, con lo scopo di legalizzare gli immigrati irregolari sul suolo statunitense. Promise inoltre di accogliere più rifugiati e di far ricongiungere i bambini, sotto la custodia dello Stato, con le loro famiglie.
Il processo è cominciato. Di certo il dossier immigrazione rappresenta un punto fondamentale per le politiche democratiche e più in generale americane. Il fascicolo è stato adesso affidato alla vice di Biden, Kamala Harris, e rappresenta un vero banco di prova per la nuova presidenza. Tra poco più di un anno sapremo quale sarà il responso del popolo americano, che si dovrà esprimere nel novembre 2022 alle prossime elezioni di midterm: l’amministrazione Biden verrà sicuramente misurata anche su questo…