La grammatica, una noiosa alleata per la parità di genere
NOTE
di Valentina Paganelli
1) In più punti nel testo si parla genericamente di flessione. Tuttavia, da un punto di vista linguistico, la questione può essere ulteriormente approfondita: infatti la morfologia italiana ammette numerose e produttive strategie per la formazione dei neologismi di tal fatta e in senso tecnico parlare solo di flessione è certamente impreciso. Fondamentale è ad esempio il più specifico concetto di Mozione, termine con cui la linguista Anna Maria Thornton indica l’insieme dei «processi di formazione di parole usati per derivare sostantivi designanti esseri umani o animati di un certo sesso a partire da un nome che designa un essere della stessa specie o funzione ma di sesso opposto» (cit. Anna Maria Thornton Mozione in La formazione delle parole in italiano a cura di Maria Grossmann e Franz Rainer, Niemeyer, Tübingen, 2004, p. 218). Si invita pertanto alla consultazione di testi specializzati qualora si nutrissero curiosità maggiori, partendo ad esempio da Silvia Luraghi e Anna Olita, Linguaggio e genere, Carocci, Roma, 2006.
2) Cit. Alma Sabatini, Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1986, p. 15.
3) La ‘testa’ è in linguistica, semplificando, la parola principale di un certo sintagma. In quanto tale, la testa definisce forma e funzione del sintagma di cui fa parte all’interno di una frase, guidandone le modalità di accordo (in italiano). Si invita alla consultazione di un qualunque testo base di linguistica per ulteriori chiarimenti (es. Gaetano Berruto e Massimo Cerruti, La linguistica un corso introduttivo, UTET, Novara, 2017).
4) Un termine è polisemico quando può assumere diversi significati: un esempio di parola polisemica è piano.
5) Un morfema è l’unità più piccola che costituisce una parola: è dunque, in concreto, costituito da una o più lettere che trasmettono una certa informazione semantica. Nella parola gatto si hanno, ad esempio, due morfemi: gatt e o. Il primo è di tipo lessicale, il secondo è invece grammaticale poiché ci fornisce informazioni relative al numero e al genere. Si invita alla consultazione di un qualunque testo base di linguistica per ulteriori chiarimenti (es. Gaetano Berruto e Massimo Cerruti, La linguistica un corso introduttivo, UTET, Novara, 2017).
6) Non è però un discorso che vale in italiano per tutti i morfemi grammaticali. Alcuni suffissi infatti non qualificano un nome come appartenente ad un genere grammaticale: si tratta dei cosiddetti nomi epiceni. Un esempio ne è la parola autista, che assieme a tutti i nomi di mestiere in -ista (e ad alcuni in -e come giudice) non manifesta grammaticalmente il genere. È dunque corretto sia scrivere una dentista brava che un dentista bravo e, come appena osservato, l’identità di genere dell’animato è desumibile, in casi come questi, da eventuali articoli e aggettivi opportunamente flessi.
7) Il termine ‘limite’ pare adeguato poiché l’assegnazione del genere grammaticale ai nomi (e il fatto che questo sia collegato all’identità socialmente definita degli animati) non è imposta dalle grammatiche di tutte le lingue del mondo: ad esempio l’ungherese e il turco non presentano la categoria grammaticale che noi chiamiamo genere.
8) Cfr. nota 1.